Quando si parla di “colpo di freddo”, si pensa subito a un lungo elenco di disturbi indotti dall’esposizione a basse temperature, come per esempio febbre, torcicollo, rigidità muscolare e contratture, dolore cervicale e mal di schiena, raffreddore e congestione nasale, tosse, starnuti e problemi agli occhi (come un’abbondante lacrimazione).
Eppure, non c’è libro di testo medico in cui il colpo di freddo esista, anzi. In una pubblicazione del 1996 viene detto esplicitamente che non c’è nessuna prova che il freddo o uno sbalzo termico, i brividi, le correnti d’aria o avere i piedi bagnati possano aumentare la suscettibilità in particolare al raffreddore.
In effetti, il colpo di freddo viene diagnosticato dalla saggezza popolare solo in Italia, dove può far ammalare chiunque, a qualsiasi età, per i più svariati motivi: perché si è usciti di casa nei giorni di freddo o anche perché si è rimasti sul divano in maniche corte; perché si cammina a piedi scalzi sul pavimento; per una leggera brezza autunnale o per colpa dell’aria condizionata (o degli sbalzi di temperatura associati al suo uso) in piena estate.
Fatto sta che i colpi di freddo non esistono. Allora perché certi malesseri – soprattutto quelli che interessano l’apparato respiratorio, dall’influenza alle bronchiti, passando per innumerevoli sindromi da raffreddamento – costringono a letto prevalentemente durante i mesi più freddi dell’anno?
In effetti, la temperatura ambientale può influenzare le difese immunitarie. In che modo lo faccia è ancora da chiarire del tutto, ma le ipotesi non mancano.
Il legame tra temperatura e malattie “di stagione”
L’esistenza di una stagionalità (in particolare, di una maggiore incidenza nelle stagioni più fredde) è stata osservata nel caso di numerose infezioni delle vie respiratorie di origine virale (quelle che, per intenderci, spesso si manifestano con sintomi come congestione nasale e starnuti).
Infatti, le basse temperature possono uccidere alcuni microbi, ma la secca aria invernale può essere l’ideale per la diffusione di altri; per esempio, favorisce la trasmissione del virus responsabile dell’influenza.
Lo stesso può però essere detto anche del caldo secco che spesso si crea, in inverno, negli ambienti chiusi. Insomma, da questo punto di vista a fare la differenza non è tanto la temperatura dell’aria quanto il suo grado di umidità che favorisce o meno la proliferazione di agenti patogeni. Fortunatamente, un’adeguata ventilazione e una buona umidificazione degli ambienti inattiva virus come quello dell’influenza, riducendone la proliferazione e il rischio di contagio.
Il legame tra la temperatura ambientale e i malanni di stagione è invece basato su quello che succede all’organismo. Infatti, quando nel naso e nelle vie aeree superiori entra dell’aria fredda i suoi meccanismi di difesa diventano meno efficienti.
In particolare, sembra che sia sufficiente che l’aria fredda faccia abbassare di 5 °C la temperatura all’interno del naso per dimezzare la capacità delle prime difese dell’organismo di uccidere virus e batteri che entrano nelle cavità nasali.
Uno dei fenomeni associati all’abbassamento della temperatura nelle cavità nasali è la riduzione della clearance mucociliare, ossia del meccanismo che consente, grazie al movimento delle ciglia localizzate sulla superficie delle cellule delle mucose di naso e vie respiratorie, di eliminare il muco, che ha lo scopo di intrappolare sostanze e microbi potenzialmente pericolosi.
L’esposizione a temperature basse, come quelle invernali, può rallentare sia i movimenti delle ciglia sia la secrezione del muco; inoltre, una temperatura particolarmente bassa può aumentare anche la viscosità del muco. Tutto ciò può compromettere la capacità di eliminarlo e, con lui, di eliminare anche i microbi responsabili dei sintomi popolarmente attribuiti al colpo di freddo.
Ma quanto tempo e quali temperature sono necessarie per abbassare di 5 °C la temperatura all’interno del naso? Basta un quarto d’ora a 4,4 °C, una temperatura raggiunta in molte zone d’Italia durante l’inverno. Ciò, quindi, non può accadere con un condizionatore durante l’estate, quando sarebbe necessario rinchiudersi per 15 minuti in una cella frigorifera per ottenere lo stesso effetto.
In queste condizioni, se microbi come i virus responsabili del raffreddore comune o dell’influenza entrano nelle vie aeree è più facile che abbiano la meglio sul sistema immunitario. Ecco perché queste malattie si diffondono più velocemente quando fa freddo e, per questo, è bene mantenere al caldo non tanto le mani e i piedi, quanto piuttosto la cavità nasale. Per questo le mascherine, diventate comuni negli ultimi anni, possono essere utili per due motivi: perché, coprendo naso e bocca, aiutano a fare prevenzione riducendo il rischio di entrare in contatto con i microbi responsabili delle infezioni respiratorie e perché possono contribuire a mantenere il naso un po’ più al caldo.
Il legame tra freddo e alterazione delle difese immunitarie non finisce però qui. Sembra, infatti, che temperature molto basse possano compromettere l’immunità portando per esempio alla riduzione della proliferazione di alcuni globuli bianchi, all’inibizione della cascata di eventi che portano alla risposta immunitaria, ecc.
L’esposizione al freddo è stata associata anche alla riduzione della trasformazione dei linfociti B in cellule in grado di produrre anticorpi a livello dell’epitelio che riveste i bronchi.
Cosa succede davvero al corpo quando è esposto al freddo
Come detto, le basse temperature possono aumentare la probabilità di ammalarsi per via del loro effetto sulle difese immunitarie, ma perché ciò accada è necessario entrare in contatto con un microbo.
Attenzione, però: questo non significa che al corpo non succeda nulla quando è esposto al freddo, ma che in assenza di microbi i problemi con cui ci si può trovare a che fare sono diversi dalla febbre, dalla congestione nasale e dalla tosse normalmente considerate sintomi del famigerato colpo di freddo.
Il rischio di problemi come i geloni (il congelamento della pelle e dei tessuti sottostanti) è concreto quando le temperature sono davvero molto basse (sotto i -15 °C) e l’esposizione è prolungata (per esempio, 30 minuti a -27 °C).
Per il resto, il corpo sa adattarsi piuttosto bene agli abbassamenti di temperatura. I brividi scatenati generano calore attraverso rapide e ritmiche contrazioni muscolari e i vasi sanguigni presenti nella pelle si restringono, riducendo la quantità di sangue che circola nelle parti più esterne dell’organismo. Questo secondo fenomeno favorisce il controllo della dispersione del calore e protegge gli organi interni dall’abbassamento della temperatura e, di norma, non è associato alla formazione di geloni perché è un fenomeno oscillante. In altre parole, la vasocostrizione si alterna alla vasodilatazione, in modo che la temperatura aumenti temporaneamente anche a livello delle estremità.
Per contro, si pensa che l’esposizione a temperature moderatamente basse possa essere positiva per i vasi sanguigni nella pelle, perché li allena a rispondere adeguatamente alle condizioni ambientali esterne.
Come evitare di ammalarsi quando fa freddo
L’accorgimento che aiuta a evitare di ammalarsi quando fa freddo non è quindi tanto rinchiudersi in casa, quanto uscire adeguatamente coperti. Anzi, a dirla tutta, uscire di casa anche quando fa freddo, se ben coperti, può essere una scelta migliore rispetto a passare molto tempo in ambienti caldi, secchi e affollati, dove i microbi, proliferando indisturbati, possono passare facilmente da una persona all’altra.
Per di più, trascorrere tempo all’aria aperta aiuta a garantirsi livelli sufficienti di vitamina D, una preziosa alleata delle difese immunitarie. Infatti, questa molecola (più che una vera e propria vitamina, un pro-ormone) viene prodotta nella pelle grazie all’azione dei raggi ultravioletti del sole.
Purtroppo, la tendenza a trascorrere molto più tempo al chiuso che all’aria aperta ha contribuito a far aumentare significativamente i casi di insufficienza o, addirittura, carenza di questa molecola, presente in ben pochi alimenti. Per questo, sebbene possano esserne inconsapevoli, sono molte le persone che devono fare i conti con livelli non ottimali di questa utile alleata della salute.
In caso si entri comunque in contatto con microbi in grado di causare un’infezione delle vie respiratorie, dal comune raffreddore a un mal di gola in caso di faringite, è bene consultare il medico per sottoporsi a una visita e ricevere una diagnosi e terapia o consigli mirati in base alla causa del disturbo. In caso di infezioni virali, per esempio, non esiste una vera cura contro l’infezione, che tenderà a risolversi spontaneamente nel giro di qualche giorno. Il medico, però, potrà consigliare una serie di prodotti utili ad alleviare i sintomi, a base solitamente di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), in grado di contrastare dolori e infiammazione.